Anne Morelli, Gli emigrati italiani nella Resistenza belga, Edizioni ANPI Belgique, Bruxelles 2017
La ricerca storica sugli emigrati italiani che parteciparono alla lotta contri i nazisti che occupavano il Belgio era stata compiuta dalla nota studiosa di origine italiana, Anne Morelli, nel lontano 1983. La prima edizione, in lingua francese, aveva avuto l’onore di una prefazione dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Più di trent’anni dopo, l’idea di pubblicare l’opera in traduzione italiana ha fornito l’occasione per un’ampia e accurata revisione e per ulteriori ricerche che alla già lunga lista hanno aggiunto altri venti nomi, raggiungendo un totale di duecento resistenti, di cui diciannove donne.
Dopo il 1922, si era verificata una grande ondata di emigrazione dall’Italia, costituita da antifascisti cui la vita in patria era stata resa “impossibile” per ordine deliberato di Mussolini. Nei paesi in cui emigrarono – Svizzera, Francia, Belgio e Lussemburgo – gli antifascisti italiani “ricostituirono alcune strutture politiche e il loro antifascismo si manifestò sia attraverso la stampa e le riunioni politiche, sia in maniera violenta attraverso scontri con i fascisti italiani che tentavano di inquadrare gli emigrati in organizzazioni fasciste all’estero”. Quando nel 1936 scoppiò la guerra di Spagna, molti operai italiani antifascisti partirono dal Belgio per unirsi alle Brigate internazionali: ne faceva parte anche Giovanni Pesce, che dopo la guerra però tornerà in Italia. Altri invece tornarono in Belgio e divennero la struttura portante della resistenza degli italiani ai nazisti: si tratta di 28 uomini dei quali pochi sopravvissero, giacché in grande maggioranza finirono fucilati, torturati, deportati nei terribili campi di sterminio.
Insieme a loro, molti altri, soprattutto operai provenienti dalle fila dei comunisti, si impegnarono in azioni di divulgazione di stampa clandestina, informazione, sabotaggio, trasmissione di messaggi, organizzazione di evasioni, trasporto di armi, attività militari dirette contro i nazisti. Non erano presenti solo nella capitale, a Bruxelles, ma erano equamente distribuiti anche nelle regioni periferiche, dove molti lavoravano come operai o minatori.
Nel libro, dopo una prima parte introduttiva, i duecento resistenti sono ricordati con schede più o meno brevi, in base alle notizie che si sono potute raccogliere; di pochi si hanno solo i nudi dati anagrafici, di alcuni c’è una breve biografia, di quasi tutti la descrizione delle azioni, in base alle quali il Belgio dopo la guerra li ha qualificati come prigionieri politici, resistenti armati oppure civili. Fra i civili ci sono 19 donne, che hanno operato come staffette, hanno custodito e distribuito giornali e materiale di propaganda antinazista, hanno dato ospitalità a prigionieri russi in fuga.
Gli italiani fanno parte di un più ampio esercito di 4.178 antifascisti che hanno operato nella Resistenza belga come resistenti armati, e altri 941 riconosciuti come prigionieri politici: oltre agli italiani, c’erano polacchi, russi, ungheresi, ebrei. Nelle Ardenne operava una “Brigade Blanche” che – scriveva allora un giornale filo-hitleriano di Bruxelles – “è in realtà una sorta di brigata internazionale costituita certo da alcuni belgi renitenti o ex soldati, ma anche e in maggior numero da prigionieri russi evasi, da soldati negri, senegalesi e marocchini, da qualche francese scappato dai lavori forzati e da individui di diverse nazionalità, venuti dall’estero o già presenti sui nostri territori”. Lo scritto voleva essere denigratorio, ma oggi si legge in altro modo: dei “negri” che nel 1944 lottano per liberare il Belgio dall’occupazione nazista rappresentano un bell’esempio che darà fastidio a tanti razzisti.
Erano tutti uomini e donne uniti contro la barbarie nazifascista, in un’azione che – scriveva Sandro Pertini nel 1983 – “va ricordata con pari fierezza alle giovani generazioni che vivono oggi in quella libertà per la quale abbiamo sofferto e tanto duramente combattuto”. Una libertà oggi messa in pericolo dai molteplici rigurgiti neofascisti che in tutta Europa cercano di far risorgere odio, razzismo, miseria e discriminazioni che speravamo superati per sempre. Sulla base dei valori di pace, di libertà e uguaglianza che i resistenti condivisero nella loro lotta comune contro il nazifascismo, dalla Grecia alla Norvegia, l’Unione Europea potrebbe e dovrebbe ritrovare oggi il fondamento più forte e più valido per la sua coesione.